European Chips Act - il pericoloso percorso verso una politica industriale geostrategica

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L'Unione Europea vuole investire circa 45 miliardi di euro nella produzione di semiconduttori all'avanguardia entro il 2030. A questo scopo, la Commissione nel suo odierno “European Chips Act” propone, tra l’altro, l’ammorbidimento delle rigide regole sugli aiuti di stato che sono state applicate fino ad ora. Con questo cambio di paradigma, l'Europa vuole ridurre la sua dipendenza dagli USA e dalla Cina e diventare più autonoma sia nel campo della ricerca, che in quello della produzione. Bruxelles reagisce così alle attuali “strozzature” dell'offerta, di cui soffre, non da ultimo, l'industria automobilistica. In un cepAdhoc curato dai ricercatori tedeschi del think tank Centres for European Policy Network (CEP), si considera però la nuova proposta un'”aberrazione” dal punto di vista della politica industriale.

cepAdhoc

"L'obiettivo della Commissione di ridurre la dipendenza industriale e tecnologica dell'Europa in tempi di conflitto geopolitico è in linea di principio, legittimo. Tuttavia, limitando la concorrenza e condizionando il libero scambio, Bruxelles sta intraprendendo un pericoloso percorso di politica industriale, violando essa stessa alcuni principi fondamentali dell'UE", afferma il direttore generale del CEP, Henning Vöpel, che ha analizzato il Chips Act insieme all'economista Matthias Kullas e all’esperto giuridico, Lukas Harta.

Secondo Vöpel, "è più opportuno e proporzionato migliorare massicciamente le condizioni base per favorire le localizzazione europee delle industrie di ricerca e di alta tecnologia. Ci sono state gravi omissioni qui per anni". Kullas sottolinea: "Il collo di bottiglia attuale è più temporaneo che strutturale. Si prevede che finisca già nel 2023. La sola carenza temporanea di chip non giustifica un intervento di mercato così massiccio". Semmai, l'UE dovrebbe - come previsto anche dal Chips Act – garantire alle aziende informazioni per comprendere meglio e gestire i rischi nella catena di approvvigionamento dei chip.

Anche Harta condivide questo punto di vista. È incomprensibile che l'UE si sia posta l'obiettivo di portare in futuro il 20% della produzione mondiale di chip nell'UE. "Questo rischia di creare più problemi di quanti ne risolva. Ci vorranno almeno tre anni prima che le prime fabbriche di microchip finanziate dal Chips Act possano produrre. E la carenza di chip per allora, molto probabilmente, sarà già stata risolta ", dice il ricercatore del CEP, che mette in guardia l'UE nei confronti di una gara ai sussidi molto costosa. "Questo pericolo poi è particolarmente incombente se le condizioni quadro della politica di localizzazione per la produzione di chip non risultano ottimali, per esempio se non c'è abbastanza personale qualificato disponibile, manca l'accesso strategico alle materie prime o i costi energetici sono troppo alti".