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La Corte di giustizia dell'Unione europea condanna l'Italia per il rinnovo automatico delle concessioni balneari: fine di un abuso?

Da tempo è in corso un contenzioso tra Roma e Bruxelles sui criteri di assegnazione delle concessioni balneari in Italia, legato all'effettiva applicazione della Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 sui servizi nel mercato interno (la cosiddetta Direttiva Bolkestein) anche in questo settore. Ora si aggiunge anche una rilevante sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea.

Il conflitto si è riacceso quando il nuovo governo ha recentemente varato il cosiddetto decreto Milleproroghe, che consente un ulteriore rinvio di un anno delle attuali concessioni - fino al 31 dicembre 2024. Il rinvio era stato aspramente criticato dal Commissario UE per il Mercato Interno, Thierry Breton, in quanto il settore "ha bisogno di modernizzarsi e di puntare sull'innovazione e sulla competitività", soprattutto dopo essere stato "duramente colpito" dalla crisi di Covid.

La posizione esitante del governo italiano è ora ulteriormente minata dalla sentenza odierna della Corte di Giustizia dell'UE sul ricorso presentato dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato contro il Comune pugliese di Ginosa, che sosteneva la prevalenza delle norme nazionali su quelle europee: I giudici di Lussemburgo affermano invece che "i tribunali e le autorità amministrative nazionali sono tenuti ad applicare le disposizioni pertinenti del diritto dell'UE e a disapplicare qualsiasi disposizione del diritto nazionale che sia incompatibile con esse".

La sentenza chiarisce che la Direttiva Bolkestein "si applica a tutte le concessioni per lo sfruttamento del demanio marittimo dello Stato, sia che presentino un interesse transfrontaliero, sia che riguardino una situazione i cui elementi rilevanti sono tutti circoscritti a un unico Stato membro" e che "il diritto dell'UE non impedisce che la scarsità delle risorse naturali e delle concessioni disponibili sia valutata mediante una combinazione di un approccio generale e astratto a livello nazionale e di un approccio caso per caso basato sull'analisi della zona costiera del comune interessato. I criteri utilizzati da uno Stato membro per valutare la scarsità di risorse naturali sfruttabili devono basarsi su parametri oggettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati". Inoltre, la Corte UE afferma che "l'obbligo per gli Stati membri di svolgere una procedura di selezione imparziale e trasparente tra i potenziali richiedenti e il divieto di rinnovare automaticamente un'autorizzazione concessa per una determinata attività sono disposizioni incondizionate e sufficientemente precise della direttiva. Poiché tali disposizioni hanno effetto diretto, i tribunali nazionali e le autorità amministrative, comprese le autorità locali, sono tenuti ad applicarle e a disapplicare la legislazione nazionale non conforme."

Va ricordato che la sentenza della Corte di giustizia europea non risolve la controversia nazionale: spetta al giudice dello Stato membro interessato risolvere il caso in conformità alla decisione della Corte. Questa decisione è vincolante anche per gli altri tribunali nazionali che si trovano ad affrontare un problema simile. Bruxelles aveva già avviato una procedura d'infrazione contro l'Italia nel 2020, accusando Roma di aver chiuso il settore degli stabilimenti balneari alla libera concorrenza, e ora potrebbe inviare al governo italiano un parere motivato con la richiesta formale di conformarsi alla normativa europea, per la quale il governo avrebbe due mesi di tempo, ovvero fino alla fine di giugno 2023. In caso contrario, Bruxelles potrebbe constatare il ritardo di Roma nell'applicazione della Direttiva Bolkestein e segnalarlo alla Corte di Giustizia dell'UE, che potrebbe a sua volta citare in giudizio l'Italia e imporre una sanzione molto pesante allo Stato italiano.

Il governo Meloni deve ora decidere se adeguarsi alla sentenza o se continuare a resistere all'applicazione della direttiva europea sostenendo gli interessi delle imprese familiari che operano nel settore dei servizi balneari, rischiando così la già citata multa milionaria ed il blocco dell'erogazione della terza tranche di finanziamenti europei PNRR per l'Italia.

Sarà in ogni caso difficile per Meloni e i suoi ministri continuare ad opporsi al rispetto della direttiva, di cui la Corte di Lussemburgo, in linea con le posizioni della Commissione, richiede correttamente l'applicazione anche in un settore strategico dal punto di vista economico ed ambientale per l'Italia come lo sfruttamento commerciale delle coste. Finora, i dati evidenziano come lo Stato italiano abbia finora incassato molto meno di quanto avrebbe dovuto dal pagamento delle concessioni balneari: nel 2021 ad es., quando il turismo aveva già in gran parte superato le restrizioni dovute alla pandemia, lo Stato italiano aveva richiesto 107 milioni di Euro di canoni, una cifra che include la cantieristica e il diporto nautico, con gli ormeggi e il turistico ricreativo, che insieme rappresentano la fetta di canone maggiore: un contributo molto ridotto, se si pensa che secondo le analisi della società di studi  economici Nomisma il settore fattura 15 miliardi di Euro l'anno. Una gara europea permetterebbe di aumentare sicuramente l'entità delle concessioni incassate dallo Stato italiano rispetto al dato attuale.

D'altro canto, proprio la differenza macroscopica tra canoni pagati e fatturato spiega le resistenze degli attuali concessionari dei servizi all'applicazione della Bolkestein, ma questo non giustifica le resistenze del governo di Roma, che per tutelare l'interesse di pochi danneggia l'economia del Paese. Sarebbe infatti nel pieno interesse dell'economia italiana che le concessioni balneari venissero messe a gara europea come richiesto dalla Direttiva europea, in modo da incassare contributi più in linea con il valore dei servizi che gli imprenditori del settore erogano ai propri clienti e garantire una sana concorrenza anche in questo settore (cepAnalyse del 26.05.2006). Se questo non avviene, è perché nei decenni le concessioni sono divenute pressoché ereditarie, trasformando i concessionari in proprietari privati di beni  - le coste e le spiagge italiane - che invece sono patrimonio pubblico. E ciò non è avvenuto ed avviene anche a causa di diversi legami esistenti tra gli imprenditori balneari e la politica.

Si spera che la decisione di Lussembrgo induca il Governo italiano a rispettare finamente il diritto europeo anche rispetto alle concessioni balneari, lavorando nell'interesse del Paese e non di una piccola ma agguerrita lobby di settore.

Andrea De Petris 

Direttore scientifico - Centro Politiche Europee